LA LEGGENDA DEL PETTIROSSO
Da una di quelle porte di Gerusalemme usciva una gran quantità di gente e tutta la folla si dirigeva verso il colle dove l'uccello aveva il suo nido.
C'erano dei cavalieri su destrieri superbi; servi con lunghe lance, assistenti dei boia con chiodi e martelli, v'erano sacerdoti dall'incedere dignitoso, e giudici, donne piangenti, e davanti a tutti una massa di popolo che correva selvaggiamente, un accompagnamento orrendo, ululante di vagabondi.
L'uccellino grigio tremando stava sull'orlo del suo nido. Temeva ad ogni istante che il piccolo cespuglio di spine venisse calpestato e i suoi piccini rimanessero uccisi.
- State in guardia, - gridò ai piccini inermi - state tutti vicini e state zitti! Ecco un cavallo che viene proprio su di noi! Ecco un guerriero coi sandali ferrati! Ecco tutta la folla selvaggia!
Ad un tratto l'uccello smise di gettare i suoi gridi d'allarme e tacque. Dimenticò quasi il pericolo sovrastante.
Improvvisamente saltò giù nel nido, e allargò le ali sopra ai piccini.
- No, è troppo tremendo - disse. - Io non voglio che voi vediate. Sono tre malfattori che vengono uccisi.
E allargò le ali affinché i piccini nulla potessero vedere. Udirono soltanto dei colpi di martello rimbombanti, grida di dolore e le urla selvagge della folla.
Il pettirosso seguì tutto lo spettacolo con occhi che si dilatavano dal terrore. Non poteva allontanare gli sguardi dai tre infelici.
- Come gli uomini sono crudeli! - disse l'uccello dopo un momento.
- Non si accontentano d'inchiodare quei poveretti sulle croci, no, sulla testa di uno hanno anche posto una corona di spine. Io vedo che le spine hanno ferito la sua fronte così da fare scorrere il sangue - continuò. - E quell'uomo è così bello e si guarda attorno con occhi così dolci che ognuno deve sentire d'amarlo. Mi pare che una freccia mi stia trafiggendo il cuore nel vederlo soffrire.
Il piccolo uccello sentiva crescere la sua compasione per l'incoronato di spine.
- Se io fossi mia sorella l'aquila, - pensò - strapperei i chiodi dalle sue mani e con i miei forti artigli scaccerei tutti coloro che lo fanno soffrire.
Egli vide il sangue gocciolare sulla fronte del Crocifisso e non poté più star fermo nel suo nido.
- Benché non sia che piccolo e debole, pure debbo poter fare qualche cosa per questo povero martoriato - pensò l'uccello.
E allargò le ali e volò per l'aria descrivendo larghi giri intorno al Crocifisso.
Gli volò intorno parecchie volte senza ardire d'avvicinarsi, perché era un uccellino timido, che non aveva mai osato avvicinarsi ad un uomo.
Ma un po' per volta si fece coraggi, volò molto vicino e col becco tolse la spina che si era piantata sulla fronte del Crocifisso.
In quel mentre una goccia di sangue del Crocifisso cadde sul petto dell'uccello. Si allargò rapidamente, colò giù e tinse tutte le pennine delicate del petto.
Ma il Crocifisso aperse le labbra e sussurrò all'uccello:
- Per la tua pietà ora avrai quello che la tua razza ha desiderato sempre da quando fu creato il mondo.
Poco dopo, quando l'uccello ritornò al suo nido, i piccini gridarono:
- Il tuo petto è rosso, le penne del tuo petto sono più rosse delle rose!
- Non è che una goccia di sangue della fronte di quel povero uomo! Scomparirà appena farò il bagno in un ruscello o in una limpida sorgente.
Ma quando l'uccellino fece il bagno, la macchia rossa non scomparve dal suo petto e quando i suoi piccini divennero grandi, la tinta rossa splendeva anche sulle penne dei loro petti, come d'allora in poi splende sul petto e sulla gola di ogni pettirosso.